Simone, mi vuoi bene?

Incontro del 27 aprile

Rivolgendosi a Simone Gesù gli chiede: “Mi ami tu più di costoro?”. Richiesta esorbitante, non solo perché rivolta a chi aveva rinnegato il suo Signore, non solo per quel curioso “più di costoro”, ma anche e specialmente perché Gesù usa il verbo agapào che indica l’amore totale, esclusivo, incondizionato cioè perfetto, “santo”. Pietro non osa rispondere con lo stesso verbo (forse lo avrebbe fatto prima di conoscere l’amara esperienza del tradimento): risponde semplicemente e poveramente “Ti voglio bene”, usando il verbo dell’amore amicale philéo. Nella seconda domanda Gesù insiste con la richiesta dell’amore totale e Pietro insiste nella seconda risposta con l’offerta del suo povero, umile, amore. Alla terza domanda e risposta non è Pietro che cambia il verbo: è Gesù! “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?” e Pietro – sebbene “addolorato che la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?” (che fosse cioè Gesù ad avere dovuto cambiare il verbo dell’amore) – gli risponde: “Signore, tu sai tutto, sai che ti voglio bene”. Si potrebbe quasi dire che non è Pietro a convertirsi a Gesù, ma è Gesù che “si converte” a Pietro, si adatta al suo linguaggio e alle sue possibilità.
È questa “conversione di Dio” che mi colpisce profondamente: anche perché è a partire da essa che Gesù pronuncia l’imperativo nel quale sbocca tutto l’itinerario educativo con cui aveva formato il suo apostolo: “SEGUIMI!” (Gv 21, 19).
Così dal fallimento è cominciata la storia nuova della santità personale di Pietro, spinta fino al martirio, quando egli dirà, non più con le parole, ma con il gesto della vita donata e con il silenzio eloquente della morte, la parola dell’amore esclusivo e totale per il suo Signore!
Carlo Maria Martini

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