La Buona Novella

PFM – La Buona Novella di Fabrizio De André


01 | Universo e terra (preludio) – 00:00
02 | L’infanzia di Maria (incluso La Tentazione) – 03:32
03 | Il ritorno di Giuseppe (incluso il respiro del deserto) – 17:48
04 | Il sogno di Maria – 30:30
05 | Ave Maria (incluso Aria per Maria) – 38:29
06 | Maria nella bottega di un falegname (incluso Rumori di bottega) – 43:56
07 | Via della Croce (incluso Scintille di pena) – 50:51
08 | Tre madri (incluso Canto delle madri) – 01:01:22
09 | Il testamento di Tito – 01:09:04
10 | Laudate Hominem (incluso Ode all’uomo) – 01:18:50
Il numero indica la posizione del brano nella registrazione
Pubblicato con regolare licenza
i proventi della pubblicità vanno agli aventi diritto (non a noi)
I testi
L’idea della “Buona Novella” (1970) nasce dalla lettura di alcuni Vangeli apocrifi ( Protovangelo di Giacomo, Vangelo arabo dell’infanzia e altri scritti).

«Quando scrissi “La buona novella” era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente – che sono poi sempre la maggioranza di noi – compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo.” Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un’allegoria – era una allegoria – che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazaret e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Non ho voluto inoltrarmi in percorsi, in sentieri, per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia, prima di tutto perché non ci capisco niente; in secondo luogo perché ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo i piedi sulla terra. Ho quindi preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell’accostarsi all’argomento, nel parlare della figura di Gesù di Nazaret, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant’è vero che ancora oggi proprio il mondo dell’Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito. Laddove invece il mondo cattolico continua a considerare Maometto qualcosa di meno di un cialtrone. E questo direi che è un punto che va a favore dell’Islam. L’Islam quello serio, non facciamoci delle idee sbagliate.»
-Dal concerto al teatro Brancaccio, 14 febbraio 1998- vedi video – testo riportato anche su wikipedia
«Da qualche parte troverete scritto “a cura di”, “arrangiamenti di” e qualche altra doverosa e professionale gratitudine stampata da una macchina disperata, senza amici.
Io ho degli amici: Roberto Dané, che ha usato l’intelligenza per censurare e suggerire, l’affetto per stimolare e convincere e infine il forcipe, perché questo lavoro diventasse un lavoro finito, perché nascesse; Gian Piero Reverberi, che ancora una volta ha saputo vestire di musica la mia consueta balbuzie melodica; Corrado Castellari e Michele ai quali devo un’idea per la musica del testamento di Tito; Franco Mussida-chitarra, Franz Di Cioccio-batteria, Giorgio Piazza-basso, Flavio Premoli-organo, Mauro Pagani-flauto del complesso “I Quelli”  [poi divennero PFM] ed il chitarrista Andrea Sacchi che dopo due giorni di distaccata collaborazione hanno dimenticato gli spartiti sui leggii e sono venuti a chiedermi “perché hai fatto questo disco, perché hai scritto queste parole”. Anche con loro la fatica comune si è trasformata in amicizia: da quel momento». Dalle note all’album dell’autore